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Vecchio 23-05-2020, 10:17   #61
Peval
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a proposito di sars-cov-2 e raggi UV

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Vecchio 24-05-2020, 16:17   #62
RG62
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Vecchio 25-05-2020, 13:53   #63
Marco Muratori ERM
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Fino a Settembre sulla base di questo studio saremmo a posto.

Poi da settembre, potrebbero presentarsi due problemi, ovvero il calo del sole combinato agli inevitabili casini che si saranno fatti in estate dalla gente. Basti guardare cosa succede solo in questi giorni, figuriamoci nel periodo di vacanza (per chi ci andrà ovviamente)....
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Vecchio 26-05-2020, 10:43   #64
Peval
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Fino a Settembre sulla base di questo studio saremmo a posto.

Poi da settembre, potrebbero presentarsi due problemi, ovvero il calo del sole combinato agli inevitabili casini che si saranno fatti in estate dalla gente. Basti guardare cosa succede solo in questi giorni, figuriamoci nel periodo di vacanza (per chi ci andrà ovviamente)....
beh c'è da considerare che tra tutti i contagi solo una percentuale tra 1 e 2% è avvenuta tramite superfici (non mi ricordo dove l'avevo letto, ma ne sono abbastanza sicuro del valore) ed in luoghi chiusi. Quello che cala drasticamente in estate è il numero di contagi dovuto a contatto di superfici infette esposte agli UV e quindi all'aperto, ma quanto pesano sul totale? Per me poca roba...
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Vecchio 26-05-2020, 10:47   #65
sanpei
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Secondo me calano anche i contagi respiratori, le goccioline infette evaporano più rapidamente ed esposte al sole distruggono il virus rapidamente, inoltre le persone si stanno meno addosso, tranne in caso di aperitivo "strusciato" ...

In ogni caso da circa 15 gg, nonostante la riapertura, i contagi sono crollati ...e i pochi contagiati per lo più non sono gravi, tanto che quasi nessuno entra in terapia intensiva.
Il caso del Brasile, dove non è certo fresco al momento, fa comunque capire che sono i comportamenti personali quelli decisivi per sconfiggere il virus (e certi politici impreparati).
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Vecchio 26-05-2020, 11:39   #66
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Secondo me calano anche i contagi respiratori, le goccioline infette evaporano più rapidamente ed esposte al sole distruggono il virus rapidamente,

Esattamente: un conto è il contagio tramite le "droplet" in ambiente chiuso e con luce artificiale, una conto è all'aperto e alla luce del sole.
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Vecchio 26-05-2020, 22:11   #67
sanpei
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Altre conferme:

C'è una correlazione "inversa" tra temperatura e mortalità dovuta all'epidemia di Sars-Cov-2? Si può dire che il caldo (o, comunque, l'aumento della temperatura) possa essere uno dei fattori, insieme al lockdown e al distanziamento sociale, del calo del numero di vittime causate dal Covid 19? La risposta sembra essere positiva, almeno a giudicare dai risultati di uno studio appena pubblicato dal Journal of Traslational Medicine. Autori dello studio sono tre gruppi di lavoro italo-statunitensi: quello dell'Institute of Human Virology dell'Università del Maryland, quello del Campus Biomedico di Roma e quello dello Science Park di Trieste. Le firme sotto il lavoro sono prestigiose: si va da Robert Gallo, Francesca Benedetti e Davide Zella (Baltimora), a Massimo Ciccozzi (Roma) a Maria Pachetti, Bruna Marini e Rudy Ippodrino (Trieste).

E lo studio potrebbe fornire anche una (sicuramente parziale) spiegazione al fenomeno osservato in Italia per cui il Nord, con il 45 per cento della popolazione ha fatto registrare l'80% dei contagi e l'86% dei morti. Come se nel nostro Paese ci fossero state due diverse pandemie: una disastrosa nelle regioni settentrionali, una molto più blanda nel centro-sud. La temperature più alte del Meridione potrebbero aver "aiutato" nel contenimento dell'epidemia.

Lo studio ha esaminato i dati relativi a 25 aree internazionali: la maggior parte negli Stati Uniti più Regno Unito, Belgio, Lombardia, Sicilia e Malta in Europa. In tutti i casi, mentre nel mese di marzo, contagi e mortalità non sembrano essere influenzate dalle temperature e il virus si diffonde in modo abbastanza omogeneo, in aprile, all'aumento delle temperature comincia a corrispondere un deciso calo della mortalità per milione di abitanti. Allo studio è stato applicato anche il parametro della latitudine con risultati che sembrano corrispondere: più a sud si va e più la mortalità scende...

Qualche spiegazione ce la forniscono il professor Massimo Ciccozzi (del Campus Biomedico di Roma) e il prof Davide Zella (vice di Robert Gallo) nell'istituto di virologia umana dell'Università del Maryland. "Sia chiaro - dice Zella - temperatura e latitudine emergono solo come un "coadiuvanti" delle misure di lockdown e distanziamento sociale. Senza le misure sarebbe stata una strage ancora più impressionante. Ma i dati in nostro possesso ci dicono che non si tratta di un fatto casuale. I parametri di verifica che si utilizzano in questo tipo di studi, lo escludono".

Ma quando si parla (e non è la prima volta) di un effetto di freno al contagio delle temperature più elevate, cosa significa materialmente? "Quello che abbiamo detto più volte - spiega il professor Ciccozzi - le goccioline di saliva (droplet) attraverso le quali 'viaggià il virus fanno meno strada, si seccano prima di arrivare a destinazione. E lo stesso accade quando si depositano sulle superfici dove il calore le secca in un tempo inferiore rispetto a quando le temperature sono più basse. Incide anche il fatto che, d'estate, viviamo di più all'aria aperta dove il virus ha maggiori difficoltà a passare da una persona all'altra purché si rispetti il distanziamento sociale. D'estate è anche più difficile avere il raffreddore, tossire e starnutire che sono gli atti involontari di maggiore propagazione del virus".
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Vecchio 07-07-2020, 11:39   #68
sanpei
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Ipotesi interessante e suggestiva, per dimostrarla occorre trovare l' "attivatore del virus" ... un tempo si pensava ad influenze cosmiche o alla polvere dei meteoriti .... ora tocca alla scienza dare risposte esaustive.

Dal Sole 24 Ore:
"Altro che Cina e pipistrelli, il coronavirus potrebbe essere rimasto inattivo un po' in tutto il mondo per chissà quanti anni, prima di riattivarsi grazie a nuove condizioni ambientali favorevoli. È la tesi di Tom Jefferson, medico al Center for Evidence-Based Medicine (Cebm), con sede al Dipartimento di Scienze della salute delle cure primarie di Nuffield, presso l'Università di Oxford. Jefferson – secondo quanto riporta il quotidiano inglese The Telegraph - sostiene che ci siano prove sempre più consistenti che il virus fosse già altrove, ben prima che emergesse a Wuhan. Una teoria che farebbe traballare tutto ciò che sappiamo fino a oggi su questa pandemia.
La tesi si rafforza grazie alla scoperta di alcuni virologi spagnoli, che la scorsa settimana hanno annunciato di aver trovato tracce del coronavirus in campioni di acque reflue raccolti nel marzo 2019, circa dieci mesi prima che Wuhan diventasse il focolaio del mondo. Anche in Italia, giova ricordarlo, alcune tracce del virus sono state rinvenute nei campioni di acque reflue di Milano e Torino risalenti a metà dicembre 2019. E in Brasile una analisi analoga riporta a novembre. Tom Jefferson ritiene che molti virus siano inattivi in tutto il mondo ed emergano quando le condizioni diventano favorevoli. Un meccanismo che potrebbe anche voler dire che i virus riattivati possano svanire rapidamente dopo un picco. «Dov'è oggi il virus Sars 1? È appena scomparso» ha detto il medico inglese al Telegraph, aggiungendo, «Dobbiamo porci queste domande. Dobbiamo iniziare a ricercare l'ecologia del virus, capire come ha avuto origine, come è mutato. Penso che il virus fosse già qui, e “qui” significa ovunque. Potremmo essere davanti a un virus dormiente che è stato attivato dalle condizioni ambientali».

Per sostenere la sua teoria, Jefferson – che è anche professore alla Newcastle University - ricorda che a inizio febbraio c'è stato un caso di coronavirus alle Isole Falkland: «Com'è arrivato laggiù? Chi lo ha portato?». E poi ancora: «Una nave da crociera è andata dalla Georgia del Sud a Buenos Aires, i passeggeri sono stati sottoposti a screening e poi, l'ottavo giorno, quando hanno iniziato a navigare verso il Mare di Weddell, è emerso il primo caso di infezione. Dov'era il virus? Nel cibo preparato che era stato scongelato e attivato?».L'esperto ricorda che cose strane come questa «sono successe con l'influenza spagnola». Nel 1918 «circa il 30% della popolazione delle Samoa (isole dell'oceano Pacifico meridionale, ndr) morì di influenza spagnola e non aveva avuto alcuna comunicazione con il mondo esterno.

Quando il virus si «accende»
La spiegazione di quanto accaduto, allora, potrebbe essere solo che questi virus non vengono né vanno da nessuna parte. Sono sempre qui e qualcosa li accende, forse la densità umana o le condizioni ambientali. E questo è ciò che dovremmo cercare».Il dottor Jefferson ritiene che il virus possa essere trasmesso attraverso il sistema fognario o servizi igienici condivisi, non solo attraverso goccioline espulse parlando, tossendo e starnutendo. E per questo, insieme al collega Carl Henegehan (direttore del Cebm) chiedono un'indagine approfondita simile a quella condotta da John Snow nel 1854, che dimostrò come il colera si stesse diffondendo a Londra da un pozzo infetto a Soho. Per i due medici inglesi, insomma, si deve cambiare l'approccio di ricerca sul coronavirus. Perché la teoria della trasmissione respiratoria non sarebbe del tutto convincente. «I focolai devono essere investigati correttamente. Bisogna fare ciò che John Snow ha fatto con il colera. Mettere in discussione tutto, e iniziare a costruire ipotesi che si adattano ai fatti. Non viceversa»
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Vecchio 07-07-2020, 11:46   #69
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Ipotesi interessante e suggestiva, per dimostrarla occorre trovare l' "attivatore del virus" ... un tempo si pensava ad influenze cosmiche o alla polvere dei meteoriti .... ora tocca alla scienza dare risposte esaustive.

Dal Sole 24 Ore:
"Altro che Cina e pipistrelli, il coronavirus potrebbe essere rimasto inattivo un po' in tutto il mondo per chissà quanti anni, prima di riattivarsi grazie a nuove condizioni ambientali favorevoli. È la tesi di Tom Jefferson, medico al Center for Evidence-Based Medicine (Cebm), con sede al Dipartimento di Scienze della salute delle cure primarie di Nuffield, presso l'Università di Oxford. Jefferson – secondo quanto riporta il quotidiano inglese The Telegraph - sostiene che ci siano prove sempre più consistenti che il virus fosse già altrove, ben prima che emergesse a Wuhan. Una teoria che farebbe traballare tutto ciò che sappiamo fino a oggi su questa pandemia.
La tesi si rafforza grazie alla scoperta di alcuni virologi spagnoli, che la scorsa settimana hanno annunciato di aver trovato tracce del coronavirus in campioni di acque reflue raccolti nel marzo 2019, circa dieci mesi prima che Wuhan diventasse il focolaio del mondo. Anche in Italia, giova ricordarlo, alcune tracce del virus sono state rinvenute nei campioni di acque reflue di Milano e Torino risalenti a metà dicembre 2019. E in Brasile una analisi analoga riporta a novembre. Tom Jefferson ritiene che molti virus siano inattivi in tutto il mondo ed emergano quando le condizioni diventano favorevoli. Un meccanismo che potrebbe anche voler dire che i virus riattivati possano svanire rapidamente dopo un picco. «Dov'è oggi il virus Sars 1? È appena scomparso» ha detto il medico inglese al Telegraph, aggiungendo, «Dobbiamo porci queste domande. Dobbiamo iniziare a ricercare l'ecologia del virus, capire come ha avuto origine, come è mutato. Penso che il virus fosse già qui, e “qui” significa ovunque. Potremmo essere davanti a un virus dormiente che è stato attivato dalle condizioni ambientali».

Per sostenere la sua teoria, Jefferson – che è anche professore alla Newcastle University - ricorda che a inizio febbraio c'è stato un caso di coronavirus alle Isole Falkland: «Com'è arrivato laggiù? Chi lo ha portato?». E poi ancora: «Una nave da crociera è andata dalla Georgia del Sud a Buenos Aires, i passeggeri sono stati sottoposti a screening e poi, l'ottavo giorno, quando hanno iniziato a navigare verso il Mare di Weddell, è emerso il primo caso di infezione. Dov'era il virus? Nel cibo preparato che era stato scongelato e attivato?».L'esperto ricorda che cose strane come questa «sono successe con l'influenza spagnola». Nel 1918 «circa il 30% della popolazione delle Samoa (isole dell'oceano Pacifico meridionale, ndr) morì di influenza spagnola e non aveva avuto alcuna comunicazione con il mondo esterno.

Quando il virus si «accende»
La spiegazione di quanto accaduto, allora, potrebbe essere solo che questi virus non vengono né vanno da nessuna parte. Sono sempre qui e qualcosa li accende, forse la densità umana o le condizioni ambientali. E questo è ciò che dovremmo cercare».Il dottor Jefferson ritiene che il virus possa essere trasmesso attraverso il sistema fognario o servizi igienici condivisi, non solo attraverso goccioline espulse parlando, tossendo e starnutendo. E per questo, insieme al collega Carl Henegehan (direttore del Cebm) chiedono un'indagine approfondita simile a quella condotta da John Snow nel 1854, che dimostrò come il colera si stesse diffondendo a Londra da un pozzo infetto a Soho. Per i due medici inglesi, insomma, si deve cambiare l'approccio di ricerca sul coronavirus. Perché la teoria della trasmissione respiratoria non sarebbe del tutto convincente. «I focolai devono essere investigati correttamente. Bisogna fare ciò che John Snow ha fatto con il colera. Mettere in discussione tutto, e iniziare a costruire ipotesi che si adattano ai fatti. Non viceversa»

Già, molto interessante
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Vecchio 16-07-2020, 15:58   #70
sanpei
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Direi che è l'affermazione definitiva, non è la temperatura il fattore chiave antiCOVID-19 ma, come pensavo da tempo, l'intensità dell'irraggiamento solare. Ergo tutti nel Sahara il prossimo inverno:

" I raggi ultravioletti hanno un effetto sull’epidemia di Sars-CoV-2? La risposta è sì, secondo un team italiano composto da medici e astrofisici che sta facendo un grosso lavoro sull’argomento (uno studio è disponibile in preprint a questo indirizzo, altri tre sono in preparazione). Gli autori fanno parte dell’Università degli Studi di Milano (dipartimento “Luigi Sacco”), Istituto nazionale di astrofisica (Inaf) e Istituto nazionale dei tumori. Mario Clerici, primo firmatario dei lavori, è professore ordinario di Immunologia all’Università di Milano e direttore scientifico della Fondazione Don Gnocchi.

Professor Clerici, come siete arrivati a definire l’efficacia dei raggi ultravioletti nei confronti di Sars-CoV-2?

«Dapprima abbiamo utilizzato delle lampade a raggi Uv di tipo C, quelli che non arrivano sulla Terra perché bloccati dall’atmosfera. Per capirsi, sono simili ai dispositivi usati per purificare gli acquari. Nell’esperimento sono state posizionate sotto le lampade gocce di liquido di diverse dimensioni (droplet) contenenti Sars-CoV-2, per simulare ciò che può essere emesso parlando o con uno starnuto. Abbiamo valutato una dose bassa di virus (quella che può esserci in una stanza dove è presente un positivo), una dose cento volte più alta (che si può trovare in un soggetto con forma grave di Covid-19) e una quantità mille volte più alta, impossibile da trovare in un essere umano o in una qualunque situazione reale. In tutti tre i casi la carica virale è stata inattivata in pochi secondi al 99,9% da una piccola quantità di raggi UvC: ne bastano 2 millijoule per centimetro quadrato».



Avete fatto lo stesso esperimento con i raggi UvA e UvB, ovvero quelli che arrivano sulla superficie terrestre?

«Sì, e i risultati sono molto simili, ma li stiamo sistemando e quindi non sono ancora disponibili per la comunità scientifica. Partendo da questi dati ci siamo poi chiesti se ci fosse una correlazione tra irraggiamento solare e epidemiologia di Covid-19. Il lavoro degli astrofisici è stato raccogliere dati sulla quantità di raggi solari in 260 Paesi, dal 15 gennaio a fine maggio. La corrispondenza con l’andamento dell’epidemia di Sars-CoV-2 è risultata quasi perfetta: minore è la quantità di UvA e UvB, maggiore è il numero di infezioni. Questo potrebbe spiegarci perché in Italia, ora che è estate, abbiamo pochi casi e con pochi sintomi, mentre alcuni Paesi nell’altro emisfero — come quelli del Sud America, in cui è inverno — stanno affrontando il picco. Un caso a sé stante è rappresentato da Bangladesh, India e Pakistan dove, nonostante il clima caldo, le nuvole dei monsoni bloccano i raggi solari e quindi l’epidemia è in espansione. Sottolineo che, nell’analisi dei colleghi astrofisici, sono state prese in considerazione anche altre variabili, come l’uso della mascherina e il distanziamento interpersonale».

Secondo i vostri studi, quindi, potremmo stare tranquilli in spiaggia, anche senza mascherina?

«I nostri esperimenti portano ad affermare questo, senza dubbio...."
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