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Vecchio 26-05-2020, 21:11   #67
sanpei
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C'è una correlazione "inversa" tra temperatura e mortalità dovuta all'epidemia di Sars-Cov-2? Si può dire che il caldo (o, comunque, l'aumento della temperatura) possa essere uno dei fattori, insieme al lockdown e al distanziamento sociale, del calo del numero di vittime causate dal Covid 19? La risposta sembra essere positiva, almeno a giudicare dai risultati di uno studio appena pubblicato dal Journal of Traslational Medicine. Autori dello studio sono tre gruppi di lavoro italo-statunitensi: quello dell'Institute of Human Virology dell'Università del Maryland, quello del Campus Biomedico di Roma e quello dello Science Park di Trieste. Le firme sotto il lavoro sono prestigiose: si va da Robert Gallo, Francesca Benedetti e Davide Zella (Baltimora), a Massimo Ciccozzi (Roma) a Maria Pachetti, Bruna Marini e Rudy Ippodrino (Trieste).

E lo studio potrebbe fornire anche una (sicuramente parziale) spiegazione al fenomeno osservato in Italia per cui il Nord, con il 45 per cento della popolazione ha fatto registrare l'80% dei contagi e l'86% dei morti. Come se nel nostro Paese ci fossero state due diverse pandemie: una disastrosa nelle regioni settentrionali, una molto più blanda nel centro-sud. La temperature più alte del Meridione potrebbero aver "aiutato" nel contenimento dell'epidemia.

Lo studio ha esaminato i dati relativi a 25 aree internazionali: la maggior parte negli Stati Uniti più Regno Unito, Belgio, Lombardia, Sicilia e Malta in Europa. In tutti i casi, mentre nel mese di marzo, contagi e mortalità non sembrano essere influenzate dalle temperature e il virus si diffonde in modo abbastanza omogeneo, in aprile, all'aumento delle temperature comincia a corrispondere un deciso calo della mortalità per milione di abitanti. Allo studio è stato applicato anche il parametro della latitudine con risultati che sembrano corrispondere: più a sud si va e più la mortalità scende...

Qualche spiegazione ce la forniscono il professor Massimo Ciccozzi (del Campus Biomedico di Roma) e il prof Davide Zella (vice di Robert Gallo) nell'istituto di virologia umana dell'Università del Maryland. "Sia chiaro - dice Zella - temperatura e latitudine emergono solo come un "coadiuvanti" delle misure di lockdown e distanziamento sociale. Senza le misure sarebbe stata una strage ancora più impressionante. Ma i dati in nostro possesso ci dicono che non si tratta di un fatto casuale. I parametri di verifica che si utilizzano in questo tipo di studi, lo escludono".

Ma quando si parla (e non è la prima volta) di un effetto di freno al contagio delle temperature più elevate, cosa significa materialmente? "Quello che abbiamo detto più volte - spiega il professor Ciccozzi - le goccioline di saliva (droplet) attraverso le quali 'viaggià il virus fanno meno strada, si seccano prima di arrivare a destinazione. E lo stesso accade quando si depositano sulle superfici dove il calore le secca in un tempo inferiore rispetto a quando le temperature sono più basse. Incide anche il fatto che, d'estate, viviamo di più all'aria aperta dove il virus ha maggiori difficoltà a passare da una persona all'altra purché si rispetti il distanziamento sociale. D'estate è anche più difficile avere il raffreddore, tossire e starnutire che sono gli atti involontari di maggiore propagazione del virus".
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“La negazione della complessità è l’inizio della tirannia”.

Jacob Burckhardt
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